L’umiltà della consapevolezza
- gerardo_m

- 3 apr 2022
- Tempo di lettura: 2 min
Essere consapevoli significa prendere atto di quello che è.
Per alcuni – sicuramente per me – la consapevolezza non è venuta spontaneamente, ma è stata il risultato di un lavoro. Questo lavoro – insieme alla fatica e alla sofferenza che questo lavoro richiede – possono portare a pensare che si stia creando qualcosa di nuovo, ma non è così.
Pensiamo a tutte le attività che insistono sullo stare “qui e ora”, invece che in altri luoghi e in altri tempi. Con queste attività non si crea il “qui e ora”; tutti noi siamo sempre e dovunque “qui e ora” (del resto dove altro potremmo stare se non qui e ora?). Il “qui e ora” non è il risultato dell’attività (una meditazione, una danza, l’ascolto di una musica…); l’attività semplicemente genera la consapevolezza di qualcosa che c’è già, che c’è sempre, che c’è dovunque: appunto che io sono necessariamente “qui e ora”.
Lo stesso vale per il superamento del “dualismo mente-corpo” (che qualcuno erroneamente definisce “testa-corpo” o “cervello-corpo”, dimenticando che la testa e il cervello sono parti del corpo…). L’integrazione tra mente e corpo non è generata da una qualche attività – alle volte anche molto lunga e intensa – al contrario, essa è già lì, sempre. La mente non esiste senza il corpo e – tranne che in casi di gravi danni neurologici – non c’è corpo senza mente. Attività come la meditazione, l’attività fisica prolungata o anche il lasciarsi cullare dalle onde del mare sdraiati su una barca, possono cambiare la natura dell’attività mentale, ma non – come invece talvolta si dice – “spegnere la mente”. E vale anche il viceversa: anche nei momenti di grandissima concentrazione in un’attività mentale orientata ad un obiettivo (risolvere un problema, scrivere un saggio, ecc.) il corpo – tutto il corpo – è sempre lì e rende possibile con la sua capacità vitale lo sforzo mentale.
Insomma, la consapevolezza è un atto di umiltà; non si scopre niente di nuovo, semplicemente si registra qualcosa che già c’era e che sempre ci sarà. In fondo è come scoprire l’acqua calda…
E allora io invito a diffidare di chi nel proporre una pratica per il raggiungimento della consapevolezza si presenta come lo scopritore di una qualche grande novità (ovviamente da offrire a dei discepoli, meglio se paganti). E non importa quale sia la pratica: spirituale, culturale, politica, sportiva…la differenza è tra l’arroganza di chi pensa di aver scoperto chissà che cosa (ritenendo implicitamente che gli altri siano troppo stupidi per scoprirsela da soli) e l’umiltà di chi aiuta gli altri a prendere atto di quello che già sono e che già hanno. La differenza è tra i palloni gonfiati, che basta una spillo per farli afflosciare perché erano solo pieni di aria, e i bastoni da passeggio, solidi, che ti sorreggono, non creano la via, ma ti aiutano a percorrerla. La tua via.
Grazie ai bastoni da passeggio! E fanculo ai palloni gonfiati!





Commenti